30 aprile 2019
Condominio - Divieto di modifiche a facciate prospetti e estetica
Quando il regolamento condominiale di natura contrattuale vieta modifiche dalle facciate, dei prospetti e, in generale, dell’estetica
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta a Sezioni Unite sul tema delle modifiche all’aspetto esteriore di un edificio condominiale, espressamente vietate dal regolamento di natura contrattuale
E’ costituito da una divergenza interpretativa in merito al regolamento condominiale.
L’art. 3 di tale regolamento contiene una clausola molto ampia e altrettanto severa: il divieto di “qualsiasi opera che modifichi le facciate, i prospetti e l’estetica degli edifici”.
Un condomino ha realizzato un’opera che, pur senza compromettere il decoro dell’edificio, apportava una modifica al suo aspetto esteriore.
La questione giuridica – la portata del divieto
Il tema è costituito dalla portata che bisogna attribuire, in sede interpretativa (e, quindi, applicativa), a una clausola così “drastica”.
L’esame delle Sezioni Unite ha preso le mosse da un rilievo talmente consolidato da dover essere considerato del tutto pacifico: “appoggiando” il suo ragionamento su altre pronunce meno recenti [Cass. 23.1.2007 n. 1406 e Cass. 31.7.2009 n. 17893] la Corte ha rilevato che “l’interpretazione della clausola di regolamento ‘contrattuale’ di condominio operata dal giudice del merito, nell’ambito dell’apprezzamento di fato ad esso spettante, è incensurabile in sede di legittimità, a meno che non riveli violazione di dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici”.
Nel caso di specie, l’iter logico e argomentativo del giudice di merito non prestava il fianco a censure e, quindi, la pronuncia della Corte d’Appello non è stata seriamente posta in discussione nei suoi fondamenti.
Fermo questo, tuttavia, la Suprema Corte ha colto l’occasione per richiamare un suo consolidato orientamento [si veda Cass. 136.6.2013 n. 14898, Cass. 24.1.2013 n. 1748, Cass. 12.12.1986 n. 7398], secondo il quale un regolamento condominiale contrattuale, il quale “ .. abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria ‘facies’ architettonica dell’edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero ‘decoro architettonico’ dall’art. 1120, comma 2 (…) e art. 1338 c.c., comma 1 .. ”. La conseguenza di tale stato di cose – proseguono le Sezioni Unite – è che “ .. la realizzazione di opere esterne integra di per sé una modificazione non consentita dell’originario assetto architettonico dell’edificio (…) che giustifica la condanna alla riduzione in pristino in caso di sua violazione”.
Come si vede, una conclusione tranchant:
il regolamento condominiale di natura contrattuale vieta la benché minima modifica esteriore;
la realizzazione di un’opera esterna costituisce una modifica esteriore;
la realizzazione di tale opera deve ritenersi vietata;
l’opera così realizzata deve e4ssere eliminata.
Sintesi
E’ ora agevole “mettere a fuoco” il punto più importante di questa pronuncia: in presenza di una clausola regolamentare, il cui tenore letterale – come si è visto – non consente “margini di manovra”, il tema dell’indagine non è più costituito dall’eventuale violazione del decoro architettonico dell’edificio – atteso che questa non assume più alcuna importanza –, ma semplicemente dall’esistenza di un rigido divieto di mettere tout court mano a interventi sull’esterno dell’edificio.
Alla luce del fatto che il regolamento condominiale di natura contrattuale è, sul piano strettamente giuridico, un contratto atipico, si affrontano e – per così dire – si contrappongono, due temi importanti:
a) l’individuazione della volontà delle parti
b) l’accertamento della meritevolezza degli interessi tutelati dalla clausola del regolamento.
Per quanto sub a), l’interprete dovrà analizzare con attenzione il regolamento condominiale – sia il testo sia gli eventuali elementi “di contorno”, idonei a fare chiarezza – per individuare quella che l’art. 1362 cod. civ. definisce “la comune intenzione delle parti” e cioè per “mettere a fuoco” a quali obiettivi mirassero – e tutto mirino – i condomini. Con l’evidente difficoltà rappresentata dal fatto che, con ogni probabilità gli originari contraenti non ci sono più.
Per quanto sub b), il tema delicato è costituito dalla necessità di trovare un contemperamento tra i contrapposti interessi “in gioco”.
Ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., infatti, le parti possono concludere qualsiasi genere di contratto purché questo sia diretto “a realizzare interessi meritevoli di tutela”.
Il regolamento condominiale di natura contrattuale è – come si è detto – un contratto atipico e bisogna, pertanto, che esso contenga clausole equilibrate, non idonee a comprimere in diritti di alcuni condomini avantaggio di altri. Come accadrebbe – è solo un banale esempio – con una clausola che prevedesse la possibilità di collocare sculture davanti agli ingressi dei box contraddistinti dai numeri dispari.
