30 gennaio 2020
Condominio – nessun interesse a impugnare se, sul piano economico, il pregiudizio è modesto
Ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., ciascun condomino è legittimato a impugnare davanti all’Autorità Giudiziaria, chiedendone l’annullamento, le delibere “contrarie alla legge o al regolamento di condominio”.
In alcuni casi e per specifiche ragioni, autorevolmente individuate da Cass. SS.UU. 7.3.2005 n. 4806, le delibere non sono annullabili, ma nulle, con la conseguenza – tra le altre – che il condomino può impugnarle senza limitazioni di tempo, chiedendo non il loro annullamento, ma l’accertamento – e, con esso, la dichiarazione – della loro nullità. In sede di impugnazione, il condomino attore deve dimostrare di avere un preciso interesse all’accertamento di tale nullità, in assenza del quale la sua domanda è destinata al rigetto.
In un condominio di Roma, un condomino ha impugnato la delibera assembleare che stabiliva la ripartizione di una determinata spesa, contestando – per violazione dell’art. 1223 cod. civ. – la legittimità e la fondatezza del criterio utilizzato per quella ripartizione.
In sostanza e per quanto qui interessa
• il Condominio ha utilizzato un certo criterio di ripartizione di una spesa, procedendo ai relativi addebiti ai condomini
• il condomino, ritenendo che questo criterio violasse l’art. 1123 cod. civ. e “forte” dell’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui la concreta applicazione di un criterio di ripartizione delle spese diverso da quelli dell’art. 1123 cod. civ. comporta la nullità della relativa delibera [cfr. Cass. 21.5.2012 n. 8010], ha contestato la legittimità della delibera, chiedendo al Tribunale di dichiararne la nullità;
• in concreto e sul piano pratico, per effetto dell’applicazione del criterio adottato dall’assemblea l’attore si trovava gravato dalla spesa di € 292,80, mentre l’applicazione del criterio ritenuto corretto dall’attore portava a quantificare la “sua” spesa in € 288,61.
Il “perimetro” giuridico
In termini giuridici, la questione è “a cavallo” tra il diritto sostanziale e quello processuale: se, infatti, è vero che “chiunque” è legittimato a far valere la nullità [cfr. in tal senso l’art. 1421 cod. civ.], è altrettanto vero che chi agisce in tal senso deve avere un preciso “interesse” [idem].
A questo deve aggiungersi il principio generale di natura processuale di cui all’art. 100 cod. proc. civ., secondo cui “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”.
La pronuncia del Tribunale di Roma
Il Tribunale Roma, con la sentenza 16919 del 4.9.2019 [in www.condominioweb.com], ha statuito che
il condomino, il quale impugni una delibera per asserita nullità, riconducibile alla violazione dell’art. 1123 cod. civ., deve “allegare e dimostrare di averi interesse”;
questo interesse “presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio”
tale pregiudizio si deve misurare “in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale”.
Questo interesse e quello ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. costituiscono – per così dire – due declinazioni dello stesso concetto, due aspetti strettamente connessi dello stesso tema.
Muovendo da queste considerazioni generali e astratte, il Tribunale ha “calato” i principii nel concreto, riconoscendo che, nel caso in decisione, l’interesse di cui sopra “non sussiste considerato che non è oggetto di contestazione la circostanza che, sulla base del criterio di ripartizione adottato dall'assemblea, l'attore è gravato di una spesa di euro 292,80 e che applicando invece il criterio ritenuto corretto dalla parte l'attore sarebbe tenuto a pagare l'importo di euro 288,61 con la differenza di quattro euro”.
I precedenti richiamati dal Tribunale di Roma
Nella sua decisione del 4.9.2019, il Tribunale di Roma ha espressamente richiamato due pronunce della Suprema Corte.
Si tratta di Cass. 9.3.2017 n. 6128 e Cass. 1.12. 2000 n. 15377, che hanno rispettivamente insegnato “Il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale” e “Con riguardo alla impugnazione di delibere condominiali invalide, la valutazione dell'interesse alla impugnazione si pone in termini di strumentalità rispetto alla decisione sulla rilevabilità d'ufficio della nullità. Infatti, posto che il giudice può e deve rilevare la eventuale nullità dell'atto posto a fondamento della domanda, non ha senso, ove ad essa la parte non abbia interesse, che detta nullità sia effettivamente rilevata. L'interesse ad impugnare la delibera condominiale deve essere concreto, dovendo concernere la posizione di vantaggio effettivo che dalla pronunzia di merito può derivare, e non solo astratto”.
Sintesi
In sostanza, quindi, può dirsi che
• l’impugnazione di una delibera assembleare presuppone che questa, oltre a essere viziata, provochi al condomino un apprezzabile pregiudizio diretto;
• il pregiudizio è apprezzabile se si sostanzia, per il condomino, in un peggioramento “della sua posizione patrimoniale”;
• detto altrimenti: il condomino è legittimato a impugnare la delibera se questa gli causa un danno economico di apprezzabile entità.
In effetti, il Tribunale di Roma ha dimostrato di esercitare un sano pragmatismo, che sicuramente chi scrive non ritiene di criticare.
Se è vero, infatti, che i principi di diritto devono essere “inquadrati” e applicati in astratto, è altrettanto vero che essi devono servire alla vita quotidiana e devono, quindi, essere utilizzati per “distillare” concrete regole di comportamento, che la comunità degli associati possa riconoscere, condividere e sentire sue e applicare / rispettare giorno dopo giorno.
E’ agevole pensare che la maggior parte delle persone, per ritenere una regola giusta e sentirla accettabile, debba trovarla proporzionata, adeguata alla realtà della vita di tutti i giorni. In quest’ottica, la stragrande maggioranza delle persone non potrebbe sottrarsi a un’immediata e spontanea riflessione in merito alla proporzione tra la regola e gli effetti concreti della sua applicazione.
La sussistenza o meno dell’interesse di cui sopra, quindi, vale come criterio correttivo della fredda, asettica e “inumana” applicazione delle regole, come “freno” alla possibile applicazione delle regole per le regole, come se queste costituissero un valore in sé e per sé, anche astratte dalla vita concreta che sono chiamate a disciplinare e, in ultima analisi, a rendere possibile.
In line generale, può dirsi che le regole servono a migliorare – e, prima ancora, a rendere possibile – la civile convivenza e che, quindi, non possono ritenersi accettabili regole che non abbiano, in concreto, questa funzione.
