4 giugno 2019
Condominio: obbligo di rendiconto, “staffetta” tra amministratori e rendiconto a doppia firma
Accade relativamente spesso che un amministratore subentri ad un altro prima che la gestione sia finita e che quest’ultimo abbia redatto il relativo rendiconto. Tale stato di cose crea spesso una situazione di disagio e ambiguità: l’amministratore uscente non vuole redigere il rendiconto e l’amministratore entrante non vuole – per le più svariate ragioni, incluso l’irrazionale timore che questo lo porti a “fare sua” la gestione del collega – elaborare un rendiconto relativo ad un’attività, alla quale egli è stato sostanzialmente estraneo.
Come si può affrontare la situazione e uscire da questo empasse?
In sintesi e in maniera schematica:
• l’amministratore è obbligato a predisporre il rendiconto della gestione e sottoporlo all’assemblea per la relativa approvazione;
• questa regola generale, semplice nella sua enunciazione e nella sua applicazione concreta, “entra in crisi” nei casi in cui l’amministratore non resta in carica per la “fisiologica” durata del suo incarico, ma cessa – quale che ne sia la ragione: dimissioni, revoca (assembleare o giudiziale), ecc. – prima dello spirare del termine al riguardo previsto dalla legge;
• in simili situazioni, la quotidiana realtà condominiale insegna che il rendiconto viene redatto dal nuovo amministratore e da quest’ultimo sottoposto all’assemblea;
• la “crisi”, cui si è dianzi accennato, deriva dalla duplice circostanza che, nella situazione sopra descritta, i condomini si trovano a esaminare un rendiconto non redatto da chi ha effettivamente gestito il condominio e il neo-amministratore si trova in difficoltà nel rendicontare attività di un altro.
Quanto sopra vale – la cosa è evidente, ma è comunque il caso di puntualizzarle – quando il “cambio della guardia” tra amministratori avviene dopo alcuni (o molti) mesi dall’inizio della gestione e, quindi, dalla nomina del “primo” amministratore. Il problema non sussiste – o è comunque meno evidente – quando il subentro di un amministratore all’altro si verifica dopo uno o due mesi dall’inizio della gestione.
II quadro normativo di riferimento
Le norme che “entrano in gioco” sono essenzialmente due:
l’art. 1130, primo comma, n. 10, cod. civ. [“L'amministratore (…) deve (…) redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione”]
l’art. 1713, primo comma, cod. civ. [“Il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato …”], applicabile in quanto il rapporto tra condominio e amministratore è pacificamente inquadrato nella figura del contratto di mandato.
In buona sostanza, la questione può essere riassunta ed espressa così: quando, in un medesimo arco temporale [il periodo di gestione condominiale], i mandatari – per effetto della successione cronologica di uno all’altro – sono due, da quale dei due deve essere reso il rendiconto annuale di cui all’art. 1130, primo comma, n. 10, cod. civ.?
Una possibile soluzione
La risposta non è univoca. Del resto, in assenza di una precisa e specifica indicazione normativa, non potrebbe esserlo.
Per provare a rispondere, il ragionamento deve partire dall’individuazione della natura del rendiconto: bisogna capire cos’è esattamente il rendiconto e quali sono le sue caratteristiche salienti ed essenziali.
Nella lingua italiana, la parola “rendiconto” ha un significato chiaro e preciso [“Presentazione dei conti, in particolare di quelli relativi alla gestione di beni e affari per conto di qualcuno”, Sabatini Coletti, Dizionario della lingua italiana, consultabile su www.corriere.it], che però non aiuta a trovare la risposta che qui si sta cercando. Non aiuta, infatti, a individuare il soggetto tenuto a presentare i conti della gestione.
Più esattamente: se è ovvio che i conti della gestione devono essere presentati da chi ha effettuato la gestione stessa, è decisamente meno facile capire chi sia colui che ha effettuato la gestione quando non si parla di un unico soggetto, ma di due, susseguitisi nel tempo.
A parere di chi scrive, il rendiconto ha natura personale, con l’immediata conseguenza che anche la relativa obbligazione ha la medesima natura e con l’ulteriore conseguenza che, ricorrendone i presupposti, questa stessa obbligazione può e deve “dividersi”:
• se Tizio ha gestito, allora è Tizio che deve rendere il conto;
• se la gestione è stata eseguita da Tizio, prima e da Caio, poi, allora sono Tizio e Caio, ognuno relativamente a quanto ha fatto, a dover rendere il conto.
Tale conclusione si giustifica proprio alla luce del già citato art. 1713 cod. civ.: se è vero che “Il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato …”, allora è vero anche che nessun altro, diverso dal mandatario, può rendere quel conto e che nessuno può essere tenuto a rendere il conto di una gestione altrui. L’operato, che deve essere rendicontato dal mandatario, è – il legislatore non ha scelto l’aggettivo a caso – il “suo”.
Il che, peraltro, è del tutto logico: solo l’amministratore può e deve spiegare e giustificare il suo lavoro e sarebbe sbagliato e sinanco assurdo aspettare che possa e debba farlo un altro soggetto.
Tutto questo può “tradursi” in ambito condominiale, con specifico riferimento al caso qui in esame, come segue:
se un amministratore resta in carica per un semestre e viene sostituito da un altro amministratore per il semestre successivo, il primo amministratore deve rendere il conto della gestione del primo semestre e il secondo amministratore deve rendere il conto della gestione del secondo semestre,
questo significa, in concreto, che l’assemblea sarà chiamata ex art. 1135, primo comma, n. 3) cod. civ. a esaminare e approvare un rendiconto “composto” o a doppia firma [cioè con una doppia paternità].
Chi scrive ritiene che questa sia l’interpretazione migliore, in quanto la più aderente e fedele al testo e allo spirito della normativa.
Non bisogna, del resto, perdere di vista che entrambi gli amministratori dell’esempio di cui sopra hanno ricevuto un incarico e, quindi, hanno assunto determinati obblighi e percepito un certo compenso. Non possono, pertanto esimersi dallo specifico obbligo che gli artt. 1130 e 1713 cod. civ. pongono a carico di ciascuno di essi.
La prassi concreta
Nella realtà quotidiana la soluzione dianzi prospettata è – per quanto consta – sconosciuta e decisamente non applicata.
Di regola, l’amministratore uscente non ha alcuna intenzione di predisporre – e, infatti, non predispone – il rendiconto relativo ai mesi in cui ha gestito il condominio e l’amministratore entrante si trova obtorto collo a doversi fare carico di tale adempimento al posto del collega che lo ha preceduto.
Le ragioni concrete di tale stato di cose sono evidenti: la compagine condominiale pretende di avere dall’amministratore il rendiconto della gestione e il nuovo amministratore non vuole esordire con un atteggiamento sicuramente corretto e rigoroso, ma destinato a indispettire i condomini.
La ragione astratta, la spiegazione teorica di questa situazione, è semplice: benché non se ne renda conto e lo faccia, quindi, in maniera non consapevole, la compagine condominiale non vede – ai fini che qui di stanno esaminando – l’amministratore come un soggetto specifico, con nome e cognome, ma come un organo del condominio. Ragiona e agisce come se l’art. 1130 primo comma, n. 10, cod. civ. recitasse “L'organo amministrativo in carica al termine della gestione (…) deve (…) redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione medesima”.
Si vuole concludere questa breve riflessione con un auspicio (che forse, al tempo stesso, è una provocazione): sarebbe interessante vedere la reazione dell’Autorità Giudiziaria di fronte all’iniziativa di condominii che, allegando l’inadempimento dell’amministratore uscente al suo obbligo di rendicontazione, agissero per ottenere da tale soggetto l’adempimento e – laddove ce ne fossero i presupposti – il risarcimento del danno.
