3 maggio 2019
Condominio: qual è l’effettiva portata dei limiti e dei divieti per le deleghe in assemblea?
La riforma del condominio del 2012 / 2013 ha introdotto – tra tutte le altre – due importanti novità in tema di partecipazione all’assemblea, che hanno avuto una significativa “ricaduta” pratica: il limite imposto al numero di condomini e alla “quantità” di millesimi rappresentabili e il divieto di delegare, per la partecipazione all’assemblea, l’amministratore. Si tratta di questioni che fanno discutere, anche per effetto di una interpretazione “addomesticata” e “di comodo” delle norme
Il ragionamento prende, come sempre, l’avvio dal dato normativo e cioè dai commi 1 e 5 dell’art. 67 disp. att. cod. civ.:
“Ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”
“All'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.
Si tratta di due disposizioni che possono apparire chiare, ma che vengono spesso – soprattutto la prima – strumentalizzate e “piegate” a interessi personali.
Il primo comma (il potere di delega e il suo limite)
La norma detta un principio generale e due “specificazioni” / correttivi del medesimo:
a) ciascuno condomino ha diritto di farsi rappresentare in assemblea da un’altra persona;
b) questo diritto può e deve essere esercitato in forma scritta;
c) questo diritto subisce una limitazione “quantitativa” nei condominii di una certa dimensione.
Nessun problema per quanto sub a) e sub b):
il condomino può delegare (quasi) chiunque a rappresentarlo in assemblea
questo delegato può senz’altro non essere condomino e non avere niente a che fare con il condominio
perché sia valida ed efficace, la delega deve essere formalizzata per iscritto, senza particolari vincoli o specificazioni: la delega deve dimostrare chiaramente l’intenzione del condomino di essere sostituito in quella specifica assemblea e deve indicare con precisione la persona del delegato, può risultare da qualsiasi documento firmato dal condomino delegante (sia pure un inciso inserito nel verbale qualora tale condomino delegante abbandonasse l’assemblea prima della sua conclusione e lasciasse un altro a rappresentarlo), può essere trasmessa all’amministratore in qualsiasi momento antecedente l’assemblea e con qualsiasi mezzo e così via.
L’interpretazione della norma si appalesa, invece, più delicata per quanto sub c).
Riprendiamo il testo di legge: “Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”.
Il limite non trova applicazione se il delegato rappresenta – è solo un esempio – un condomino che sia, da solo, titolare di 250/1.000.
Si arriva a questa conclusione attraverso tre “percorsi”:
▶ il dato normativo
Il legislatore usa la congiunzione “e”, con ciò stabilendo che il limite è operativo se attiene sia al primo aspetto sia al secondo. Se – detto altrimenti – il delegato si trova a rappresentare in assemblea più di 1/5 dei condomini e se questi condomini sono titolari di oltre 200/1.000.
Il testo della norma è chiaro: il delegato non può rappresentare più di 1/5 dei condomini e più di 200/1.000, mentre il limite non “entra in gioco” se la rappresentanza coinvolgo solo il primo o solo il secondo aspetto. Detto ancor più esplicitamente: nessun problema se il delegato rappresenta meno di 1/5 dei condomini e più di 200/1.000 o se rappresenta più di 1/5 dei condomini e meno di 200/1.000;
▶ La ratio della norma
introducendo questo limite, il legislatore non ha voluto ostacolare i condomini e la loro partecipazione alle assemblee, ma solo contrastare il deprecabile fenomeno dell’incetta di deleghe. Ha, cioè, voluto evitare situazioni in cui un solo condomino, magari titolare di pochi millesimi, potesse presentarsi in assemblea con un potere – in termini di millesimi e di “teste” – tale da imporre legittimamente la sua volontà all’intero condominio;
▶ Il principio generale in tema di rappresentanza
in linea generale, se un determinato soggetto ha il diritto di delegare qualcuno a svolgere una qualsiasi attività al suo posto, allora questo qualcuno deve trovarsi – per quanto attiene alla situazione in vista della quale è conferita la rappresentanza – nella stessa identica posizione in cui si troverebbe, se fosse presente, il delegante. Deve, cioè, poter fare tutto quanto è consentito a quest’ultimo.
Diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione – “perversa” e, quindi inaccettabile – che il delegante, esercitando il suo diritto di farsi sostituire, deve “abdicare” a una arte delle sue prerogative e “comprimere i suoi diritti.
Se la legge consente a Tizio di delegare Caio a partecipare all’assembla al posto suo, Caio deve poter fare, in quell’assemblea, tutto ciò che potrebbe fare Tizio. Altrimenti, il diritto di delega riconosciuto al condomino dalla legge ne risulterebbe frustrato e persino compromesso.
Un esempio pratico e concreto: quale senso potrebbe mai avere che il condomino Tizio, titolare di 250/1.000, potesse esercitare appieno i suoi diritti se intervenisse personalmente all’assemblea, ma fosse costretto a rinunciare ad una parte del suo diritto di voto (e al relativo “peso” in assemblea) solo per aver delegato qualcuno a intervenire in sua vece?
Neppure è pensabile che il problema si risolva facendo “scendere in campo” più di un delegato:
il condomino è uno e il suo diritto di voto è unitario, non è attribuito in proporzione ai millesimi e non può “frazionarsi” in base ad essi;
l’art. 67, primo comma, disp. att. cod. civ. parla espressamente di “rappresentante”, al singolare: un condomino, una delega e un delegato;
quanto appena esposto trova una significativa “eco” nel secondo comma di tale norma, secondo cui “Qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea … ”
Non si può ritenere legittimo che un condomino sia rappresentato in assemblea da più persone diverse ed è, quindi, evidente che l’unico delegato ammesso deve poter sostituire il condomino delegante in tutto e per tutto, senza dover rinunciare ad esprimere una parte del voto, cui ha diritto il condomino delegante.
La delega conferita per l’assemblea mette il delegato nella posizione di esprimere il voto che ritiene preferibile in base al suo stesso giudizio.
Il delegante può ovviamente dare al delegato indicazioni più o meno precise e più o meno “stringenti”, ma queste avranno eventualmente rilevanza solo nei rapporti interni tra delegante e delegato.
Una delega con vincolo di mandato non sarebbe possibile e non sarebbe vincolante per il condominio. Del resto, non avrebbe neanche logica: se è vero che la decisione circa il voto matura in assemblea all’esito della discussione e del confronto tra condomini, allora quale senso potrebbe mai avere imporre al delegato, prima dell’assemblea, di esprimere un determinato voto?
Come accennato, se il delegato si comportasse in maniera diversa rispetto alle indicazioni date dal delegante, quest’ultimo potrebbe forse avere la possibilità di lagnarsene e di far valere il suo eventuale diritto ad un qualche risarcimento direttamente nei confronti del delegato, ma questa cosa non avrebbe alcuna “ricaduta” per il condominio e ai fini della delibera.
Il secondo comma (il divieto di delega all’amministratore)
Il divieto è molto ampio e generale: l’amministratore non può ricevere alcuna delega per qualsivoglia assemblea.
Anche in questo caso, la ratio della norma è evitare l’incetta di deleghe.
Molto concretamente:
• se è vero che l’assemblea è l’organo sovrano del condominio, gerarchicamente e operativamente sovraordinato rispetto all’amministratore, quale senso potrebbe mai avere un’assemblea nella quale, in concreto, i voti venissero espressi – in forza delle deleghe – dallo stesso amministratore?
• se è vero che la principale attribuzione dell’amministratore è “eseguire le deliberazioni dell'assemblea” [in questo senso, Cass. SS.UU. 6.8.2010 n. 18331], quale senso potrebbe mai avere che queste deliberazioni fossero, in sostanza, frutto della volontà del solo amministratore (il quale si trovasse – ancora in forza delle deleghe – a coincidere sostanzialmente con l’assemblea)?
