19 dicembre 2018
Condominio: quale amministratore avremo domani?
La figura dell’amministratore è al centro di una riflessione importante: anche a prescindere dalla diatriba sulla sua qualificazione, l’amministratore viene visto come il protagonista (magari non del tutto volontario) di una sorta di rivoluzione epocale, al centro di un percorso di cambiamento destinato a modificare il suo ruolo e la sua immagine per sempre. Anche se forse gli amministratori non se ne sono del tutto accorti.
I termini del problema
Ebbene, con tutti i suoi limiti questa espressione si adatta perfettamente alla figura dell’amministratore di condominio e appare idonea a rendere l’idea dominante, a rappresentare lo stato di incertezza, di confusione quasi schizofrenica degli amministratori di condominio
Fuor di metafora: gli amministratori sono professionisti o imprenditori?
In realtà, non lo sanno bene neanche loro e appaiono confusi, in bilico tra la spinta emotiva verso la professione ordinistica e, quindi, l’istituzione di un albo o registro, e la voglia – invero, altrettanto emotiva – di “mercato”.
Sembrano in qualche misura consapevoli di essere ormai una figura anacronistica, superata dalla società, dalla vita lavorativa e dalla realtà quotidiana, ma appaiono decisamente incerti su quello che potrebbe e dovrebbe essere il loro futuro.
Una riflessione interna alla categoria
In questo lucido – e un po’ “spietato” – articolo, la Coordinatrice nazionale di Valore Aggiunto Impresa parte dalla constatazione del già citato dualismo professionista-imprenditore e osserva che, potenzialmente, la forza degli amministratori “sta proprio in questo dualismo” che contraddistingue la categoria e che la categoria stessa dovrebbe valorizzare.
A detta di Daniela Zeba, l’amministratore può e deve essere sia professionista che imprenditore [“come se esercitare una professione intellettuale sia la negazione, tout court, dell’imprenditorialità”] e trarre da questo la sua forza.
Questo perché “In condominio la vera sfida sarà mantenere efficienza e contatto umano”.
Quanto sopra a livello di idea.
La riflessione, tuttavia, diventa amara quando l’autrice passa all’analisi della categoria: a detta di Daniela Zeba “gli amministratori (…) ritengono che le regole non siano necessarie, che la propria zona di comfort sia un mercato distorto, iniquo e senza barriere, caratterizzato dalla concorrenza sleale e dalla mancanza di deontologia, con la benedizione ‘urbi et orbi’ delle associazioni”.
La Coordinatrice nazionale di Valore Aggiunto Impresa è “favorevole all’organizzazione imprenditoriale”, ma senza che, per questo, si disconosca “la natura intellettuale del lavoro dell’amministratore di condominio”.
Il suo sogno per gli amministratori è così riassunto: “Tutti uguali ai blocchi di partenza, senza interni, improvvisati o con pretesa di diritti acquisiti: esame di stato per tutti e ogni tassello tornerebbe magicamente al suo posto”.
Evolvere necesse est
Al riguardo, soccorre il pensiero del padre (quasi l’inventore) dell’evoluzionismo: con le espressioni "selezione naturale" o "sopravvivenza del più adatto", Charles Darwin intendeva “la conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive” [Charles Darwin, L'origine delle specie, 1869 (V edizione)].
Tutto questo per dire che, se si dimostreranno incapaci di evoluzione, gli amministratori di condominio, rivelandosi non adatti all’ambiente circostante, molto semplicemente finiranno per non sopravvivere.
L’amministratore che vorrei
Posso, tuttavia, provare a contribuire al dibattito in corso con una semplice riflessione.
La già citata osservazione di Daniela Zeba, secondo cui l’amministratore può e deve essere sia professionista sia imprenditore e trarre da questo dualismo la sua forza, è pienamente condivisibile.
Io ritengo che l’amministratore non debba affatto scegliere tra queste sue due “anime”, ma valorizzarle e farle coesistere, “sfruttando” il meglio dell’una e dell’altra. Diventare un manager professionista, capace di gestire la realtà affidata alle sue cure con serietà, competenza e spirito imprenditoriale.
Meglio ancora: l’amministratore dovrebbe gestire la propria attività lavorativa esattamente come un’impresa e approcciarsi ai condominii che gli vengono affidati come un manager, il cui ruolo consiste essenzialmente nel coordinare al meglio e nella maniera più efficiente e più produttiva le varie risorse [fornitori, consulenti, professionisti, ecc.] a disposizione.
Un piccolo “passaggio” sul piano concreto.
E’ noto che, per l’attività che svolge, l’amministratore percepisce dal condominio un compenso, deliberato dall’assemblea ai sensi dell’art. 1129, quattordicesimo comma, cod. civ..
E’, parimenti, noto che, di solito, questo compenso è vergognosamente modesto, del tutto inadeguato alle attività, che l’amministratore svolge, e alle responsabilità, che egli assume.
Il “mio” amministratore dovrebbe concordare con il condominio un compenso per così dire “misto”: una cifra fissa, cui vada ad aggiungersi una cifra variabile, da conteggiarsi e quantificarsi in base a quante risorse l’amministratore ha fatto risparmiare – ovviamente, non a scapito dei servizi e senza pregiudizio della qualità – al condominio.
In questo modo si arriverebbe effettivamente a coniugare le due anime e a farle convivere, a far coesistere, valorizzandole, la professionalità e le capacità imprenditoriali dell’amministratore, il cui lavoro sarebbe – almeno in parte – compensato sulla base dei risultati prodotti.
Un’ultima osservazione, auspicabilmente destinata a funzionare da stimolo.
Il già citato art. 1129, quattordicesimo comma, cod. civ. prevede testualmente che “L'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta”. Nulla viene detto in ordine a chi propone la quantificazione del compenso.
Da questo deriva la piena facoltà per i condominii di assumere l’iniziativa di proporre ai candidati amministratori un accordo su un compenso “misto”, in parte quantificato in misura fissa e in parte “parametrato” sui risultati che saranno stati ottenuti al termine dell’esercizio.
