16 aprile 2019
Condominio: terrazze adiacenti e vedute
In base alla legge, non è possibile aprire vedute né realizzare terrazze a distanza inferiore a un metro e mezzo dal fondo del vicino.
Questa è la regola generale, ma sembra che nei condominii essa non trovi applicazione. Non si è, tuttavia, in presenza di ripetute e macroscopiche violazioni dei precetti normativi, ma di una interpretazione dei medesimi più conforme alla realtà condominiale.
E’ costituito dagli artt. 900 e 905 cod. civ.:
il primo identifica le vedute e le definisce come “Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino” che “permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”
il secondo recita “Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo” (primo comma) e “Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere” (secondo comma).
L’impossibilità di aprire vedute dirette verso il fondo altrui a una distanza inferiore a 150 cm dal fondo stesso e l’impossibilità di costruire – sempre a una distanza inferiore a 150 cm dal fondo – terrazze idonee a permettere di affacciarsi su un fondo altrui, sono, quindi, piuttosto evidenti.
E’, tuttavia, nozione di comune esperienza che questa regola su vedute e distanze non sembra trovare applicazione in molti edifici condominiali, dove è frequente vedere due o più terrazze aggettanti tra loro adiacenti, “separate” unicamente da bassi muretti o da strutture a questi assimilabili, del tutto inidonee a impedire “di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”. Situazioni – detto altrimenti – in cui, per chi si trovasse su un terrazzo, risulterebbe decisamente moto agevole affacciarsi e sporgersi sul terrazzo accanto.
L’intervento giurisprudenziale
La Suprema Corte è intervenuta in materia e ha fornito una diversa “lettura” degli artt. 900 e 905 cod. civ., idonea a contemperare la normativa e la sua applicazione con la realtà fattuale degli edifici in condominio.
Questi interventi risalgono anche all’epoca recente: “In tema di condominio degli edifici, la disciplina sulle distanze legali delle vedute non si applica alle opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l'intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni e l'insorgere del condominio, e, dall'altro lato, la costituzione, in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, secondo lo schema della servitù per destinazione del padre di famiglia” (Cass. 10.5.2018 n. 11287. In senso conforme, si veda Cass. 7.4.2015 n. 6923).
Questi arresti giurisprudenziali devono essere letti in coordinamento – per quanto qui interessa – con altre pronunce [Cass. 30.10.2018 n. 27636 e Cass. 19.1.2018 n. 1344], le quali hanno individuato il momento della “nascita” del condominio nella prima cessione di proprietà, quando si passa da una situazione di unico proprietario ad una situazione di due o più proprietari.
Sintesi
Quanto sinora esposto consente di formulare – anche per sintesi e in guisa di conclusione – alcune deduzioni:
il condominio si costituisce con il primo trasferimento di proprietà;
fino alla costituzione del condominio, il costruttore – nella sua veste di proprietario esclusivo dell’intero stabile – può senz’altro progettare e realizzare i terrazzi senza rispettare la normativa su vedute e distanze;
è evidente che, proprio – per usare le parole della Cassazione – “in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano”, il costruttore non si porrà più di tanto il problema delle vedute e delle distanze e, in una logica di rispondenza alle richieste ed esigenze del mercato, costituirà, per i suoi scopi, delle vere e proprie servitù “per destinazione del padre di famiglia”;
del resto, la cosa ha una sua logica: il proprietario unico dell’intero edificio lo realizza e lo modifica come vuole, senza neanche porsi il tema dello jus in re aliena, e i successivi acquirenti si renderanno proprietari del piano o della porzione di piano dopo averlo visto e, quindi, con la piena consapevolezza di cosa vanno ad acquistare.
Conclusione
Si ritiene che questa lettura “dinamica” delle disposizioni codicistiche sia in linea con la realtà delle cose, apprezzabile e, quindi, condivisibile.
Sarebbe, in tutta franchezza, abbastanza assurdo porre dei limiti alla libertà di progettazione di chi sta pensando, oggi, e realizzerà, domani, un edificio nuovo, se questi limiti si fondano solo sul rispetto di diritti che possono comunque essere rispettati e soddisfatti con pieno ossequio alla libertà – di impresa, ma anche di scelta – delle persone.
