25 luglio 2019
Il regolamento condominiale di natura contrattuale: precisazioni in merito ai divieti
Se è vero che le clausole di un regolamento condominiale di natura contrattuale possono, in astratto, porre seri limiti ai diritti dei condomini e arrivare a “comprimere” tali diritti, è altrettanto vero che, in concreto, è necessario – affinché ciò accada – che la formulazione di quelle clausole soddisfi alcuni requisiti. Per tacere delle avvertenze in tema di interpretazione di tali clausole.
Essenzialmente, due sole disposizioni del codice civile disciplinano il regolamento condominiale: si tratta dell’art. 11389 cod. civ. [“1) Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione. 2) Ciascun condomino può prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente. 3) Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7) dell'articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell'articolo 1107. 4) Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137. 5) Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”] e dell’art. 72 disp. att. cod. civ. [“I regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni dei precedenti articoli 63, 66, 67 e 69”].
Entrambe tali norme si applicano al solo regolamento di natura assembleare.
I due generi di regolamento condominiale
Esistono due generi di regolamento condominiale: quello assemblea e quello contrattuale.
E’ opinione diffusa che la dicotomia tra i due regolamenti nasca dal processo di formazione dell’uno e dell’altro:
se è stato predisposto dall’originario proprietario unico dell’edificio e allegato ai contratti di compravendita, allora è un regolamento di natura contrattuale,
se, invece, è stato adottato dal codominio già costituito con una sua delibera, allora è un regolamento di natura assembleare.
Questo è vero, ma il dato così fornito non è completo:
la predisposizione ad opera dell’originario proprietario unico è un presupposto non sufficiente della natura contrattuale: hanno, infatti, tale natura solo le clausole che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o su quella comune o attribuiscono ad alcuni condomini diritti maggiori rispetto agli altri;
anche il regolamento adottato dall’assemblea può avere natura contrattuale, a condizione che sia stato adottato dal 100% dei condomini, titolari di 1.000/1.000.
La differenza tra l’uno e l’altro è, peraltro, ben descritta nella pronuncia n. 23255, resa dalla Corte di Cassazione in data 15.11.2016: “Le clausole del regolamento condominiale predisposto dall'originario proprietario dell'edificio condominiale e allegato ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall'unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, comma 2, c.c.”.
Un altro modo di esprimere il concetto è questo:
l’elaborazione e l’adozione del regolamento nelle forme di cui sopra – e cioè ad opera dell’originario unico proprietario o della compagine condominiale nella sua interezza (100% dei condomini e 1.000/1.000) – non basta ad attribuire natura contrattuale ad una certa clausola del regolamento;
perché questa natura possa ritenersi sussistere, è necessario anche che la clausola “comprima” i diritti dei singoli condomini o attribuisca ad alcuni di essi diritti più ampi rispetto a quelli degli altri condomini;
in assenza dell’uno o dell’altro requisito, la clausola – a prescindere dalle modalità di redazione e/o approvazione del regolamento in cui essa è inserita – ha natura regolamentare (o assembleare).
Il regolamento di natura contrattuale
Dal punto di vista giuridico, questo regolamento è un contratto atipico e cioè un contratto che non rientra in una delle figure predeterminate dal legislatore, ma è il risultato della libera autonomia delle parti.
Ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., questi contratti sono legittimi e validi, ma a condizione che “siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”.
Nella sostanza, questo genere di regolamento rappresenta il solo strumento per intervenire, limitandoli e “comprimendoli”, sui diritti che i singoli condomini vantano sulle parti di edificio di proprietà esclusiva e sulle parti comuni. Per evidenziare uno specifico aspetto della operatività e della portata di questi regolamenti, si pensi che essi costituiscono la “diversa convenzione” che consente ex art. 1123, primo comma, cod. civ. di derogare al principio generale secondo cui gli oneri condominiali sono a carico dei condomini “in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno”.
Le cautele nella formulazione e nella interpretazione delle clausole regolamentari di natura contrattuale
Per “mettere a fuoco” la questione nel migliore dei modi soccorrono due pronunce della Suprema Corte:
• la prima attiene alla formulazione di queste clausole [“Le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva, contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo tale da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni. Trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze e non possono quindi dar luogo ad un'interpretazione estensiva delle relative norme. Non appare pertanto legittima un'interpretazione della norma regolamentare — che non pone alcun espresso divieto all'utilizzo del locale a ristorazione — in modo estensivo, comprimendo ulteriormente in modo arbitrario le facoltà del proprietario” Cass. 20.7.2009 n. 16832];
• la seconda è, invece, relativa alla loro interpretazione [“L'interpretazione del contenuto della clausola del regolamento condominiale da dove emerge un limite od un obbligo imposto alle singole unità immobiliari deve essere compiuta restrittivamente, seguendo le norme che regolano l'interpretazione del contratto, ed è censurabile dal giudice di legittimità solo per violazione di legge ed in caso di illogicità o vizio di motivazione della sentenza” Cass. 6.12.2016 n. 24958].
Considerazione finale
Ancora una volta, il diritto condominiale si rivela insidioso.
Buon senso e prudenza, quindi, inducono come sempre a muoversi con la dovuta attenzione e cautela per evitare di trovarsi – il riferimento è concreto ed è tratto dall’esperienza professionale – con una compagine condominiale che, profondamente convinta di avere solide basi per contrastare la posizione assunta da un condomino, si trovi a dover fare i conti con una realtà di segno contrario, resa concreta e “viva” da una pronuncia giurisprudenziale.
La “morale”, quindi, è di rivolgersi a professionisti esperti e competenti sia per la redazione sia per l’interpretazione dei regolamenti.
