30 gennaio 2020
Lo sviluppo armonico del mercato della logistica e del trasporto in Italia: cosa farsene dei protocolli ?
Con l’anno nuovo, è arrivata l’epoca dei bilanci e dei nuovi intendimenti. Se i primi apparissero a grandi linee negativi, allora sarebbe meglio riesaminare alcune strategie. Il “Protocollo d’intesa per la legalità dei contratti di appalto nel settore della logistica” proposto dal Prefetto di Milano nel novembre scorso alle principali Associazioni degli operatori del settore sembra un progetto destinato a volare basso eppoi a cadere.
Un mercato efficiente necessita di regole certe, che ne disciplinino l’accesso, la professionalità dei soggetti che vi operano ed il riconoscimento giuridico degli scambi che vi avvengono, secondo le forme concordate. Tutto ciò appare complicato, nel mercato della logistica e del trasporto nazionale, dove l’ingresso di nuovi operatori e di nuovi scenari gestionali obbligano i giuristi ad inseguire una realtà in continua evoluzione.
A quindici anni dalla promulgazione della riforma del settore dell’autotrasporto (legge 1.3.2005 n. 32, Decr. Lgs. n. 286/05 con le sue svariate modificazioni ed integrazioni, tra le quali il discusso art. 83 bis della legge n. 133/2008 e successive abrogazioni) il mercato della logistica e del trasporto si è profondamente evoluto, senza che i principi della “responsabilità condivisa” proposti da queste norme siano stati compiutamente assimilati da parte degli operatori interessati.
A mio parere, il mercato si è comunque sviluppato positivamente, attraverso una maggiore integrazione tra le funzioni della logistica e quelle del trasporto, l’avvento di sistemi multimodali, la maggiore internazionalizzazione dei traffici e degli operatori. Permane tuttavia l’esigenza che la liberalizzazione del mercato faccia comunque perno su principi etici e legali noti ed accettati, affinché funga da volano per l’economia nazionale.
Negli ultimi anni, sono stati proposti strumenti di soft law, termine che ricomprende quelle intese politiche od economiche alle quali Enti, Istituzioni ed operatori del settore aderiscono volontariamente, anche se non costituiscono degli impegni giuridicamente vincolanti.
Mi riferisco, ad esempio, a Codici di condotta sottoscritti in sede sindacale, tra committenza e rappresentanti locali, finalizzati a contrastare lo sfruttamento dei lavoratori che operano in outsourcing, ovvero codici etici o altre forme private di compliance che mirano a contrastare il lavoro irregolare o sommerso, le irregolarità degli appalti, la corruzione, le infiltrazioni mafiose, etc. fino ai noti Patti di integrità (strumenti contrattuali originariamente promossi da Transparency International) il cui inadempimento può effettivamente comportare sanzioni.
Questa tipologia di protocolli è certamente destinata ad influire sulla governance aziendale. Infatti, dovessimo valutare i rischi di un’impresa operante in un determinato settore, è certo che la presenza di una regolamentazione condivisa e dettagliata per determinate attività ne comporterebbe un aggravamento, se fosse disattesa, come pure occorrerebbe tener conto degli eventuali maggiori costi necessari a rispettarla.
L’intervento della Magistratura e delle Istituzioni
Un caso particolare ci è offerto da quanto accaduto lo scorso anno, quando, come è noto, il Tribunale penale di Milano ha disposto misure di prevenzione (tra le quali, il sequestro di un sito operativo) a carico di una nota impresa di logistica internazionale, che avrebbe gestito l’attività di magazzino in violazione delle norme e dei principi sopra indicati. Anzi, durante la procedura, è emerso che, se l’impresa coinvolta avesse proceduto alla regolarizzazione della situazione, i prezzi dei servizi offerti, che avrebbe dovuto conseguentemente adeguare, sarebbero inevitabilmente fuori mercato.
Questa circostanza, affrontata peraltro senza timore da parte dell’impresa interessata, che si è impegnata alla regolarizzazione correndo il rischio di divenire meno competitiva, ha dato spunto al Prefetto di Milano di convocare, nel novembre scorso, le principali Associazioni rappresentative dei diversi comparti interessati alla logistica ed al trasporto in Lombardia (dalla committenza, agli spedizionieri, ai trasportatori, ai logistici, etc.) per sottoporre loro il Protocollo indicato all’inizio di questo articolo, comprendente sia la parte dispositiva (i principi, gli impegni, la cabina di regia, etc.) sia la sua declinazione operativa, attraverso la predisposizione di contratti tipo, di integrazioni ai modelli 231 attualmente in essere, di best practices, etc., evidentemente finalizzati a “far riemergere” il settore da una situazione di diffusa illegalità.
Si tratterebbe evidentemente di un intervento molto pesante sulla libertà economica delle imprese associate, con tanto di attività di controllo, monitoraggio ed informazione, posto a carico delle citate Associazioni, senza un particolare corrispettivo, ma con l’evidente incentivo causato dal fatto che esso è richiesto, in tutta la Lombardia (figuriamoci cosa sarebbe da fare in altre zone) dal Prefetto e dal Tribunale penale di Milano. Una sorta di risposta locale rispetto al “Protocollo d’intesa – linee guida per la qualità del lavoro – settori dell’edilizia, della logistica e dei trasporti”, sottoscritto tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e le principali associazioni sindacali il 13 aprile 2018.
A questo punto, quale legge applicare ?
Nel quadro regolamentare sopra descritto, con le norme di legge sostanzialmente disattese (anche se non mancano gli interventi, da parte delle Supreme Corti, che ne ribadiscono la legittimità) ed il moltiplicarsi di una contrattualistica privata vessatoria (si pensi ai contratti standard proposti, in situazione di quasi oligopolio, per i trasporti via treno o via nave) gli operatori del settore sono quindi alla ricerca di un nuovo quadro normativo comune che dia certezza giuridica ai propri traffici, consentendo di valutare preliminarmente il rischio delle proprie iniziative imprenditoriali.
Il ricorso a strumenti di soft law, quali le certificazioni o i protocolli rischiano di risultare non appetibili, mentre il protocollo in esame, per la cui applicazione dovrebbero essere responsabilizzati i corpi intermedi, associazioni, consulenti del lavoro, etc. il cui compito dovrebbe essere quello di fare gli interessi dei propri assistiti, rischia di ridurre il mercato ad una guerra tra bande.
Occorre che il Legislatore riprenda in mano la situazione, attraverso un Testo unico della logistica e del trasporto che riconosca le nuove realtà del mercato, ne regoli armonicamente l’attività e potenzi gli Enti già presenti per il controllo del settore, come indirettamente richiesto da Prefetto e Tribunale penale di Milano. Solo una autorevole volontà politica sarebbe in grado di evitare che le intese di soft law possano divenire restrittive per la concorrenza.
Certo è necessaria una certa professionalità e le interviste in cui il nuovo Ministro dei trasporti, sia pure per semplificare il concetto, afferma che una motrice “aggancia un rimorchio” (e non un semirimorchio, come sarebbe il caso) non appaiono, in questo senso, particolarmente confortanti.
